venerdì 9 dicembre 2016

Storia e leggende del Gargano Le leggende delle Tremiti.

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Nell’Iliade di Omero compaiono diversi episodi nei quali è protagonista Diomede, come quando l’Eroe ferisce la stessa Afrodite e lo stesso Marte (canto V) o come quando si scambia cavallerescamente le armi con il troiano Glauco, in passato suo ospite familiare, o come quando, insieme a Ulisse, compie un’incursione nel campo nemico per sorprendere i troiani nel sonno e farne strage (canto X).
Altre fonti lo indicano come autore del furto del Palladio, ancore insieme ad Ulisse al quale un analogo destino sembra accomunarlo anche durante il ritorno in patria dopo la fine della guerra. Da fonti post-Omeriche apprendiamo le sfortunate vicende che accompagnarono il mitico Re dell’Etolia, il quale, ritornato ad Argo e scoperta l’infedeltà della moglie Egialea, prese a navigare per i mari in cerca di una nuova patria.
Approdato sulle coste del Gargano, ebbe ospitalità dal Re Dauno, che gli accordò il permesso di fondare un suo piccolo regno del quale Diomede tracciò i confini con i massi che aveva portato con se dalla Tracia.
Alla fine, gli restarono alcune pietre ciclopiche, che con sdegno scagliò al largo della costa creando il minuscolo arcipelago delle isole Tremiti, che in origine furono per questo chiamate Diomedee. Ma Afrodite non aveva ancora soddisfatto il suo desiderio di vendetta nei confronti dell’uomo che aveva osato ferirla e aveva distrutto la sua amata Ilio. Così fece nascere una contesa, nel corso della quale Diomede fu ucciso dal Re Dauno che l’aveva ospitato e i suoi fedeli compagni furono trasformati in uccelli.
A tale proposito Diomede così si lamenta:
“ Ora si susseguono prodigi per un nuovo orribile comando.
I perduti compagni salgono con le ali verso i cieli e come uccelli volteggiano sulle acque.
Oh, tremendo supplizio dei miei cari!
Essi riempiono gli scogli delle loro voci lacrimose”
“Eppur dinansi in augelli conversi i miei compagni (oh miseranda lor pena!) van per l’aura e per gli scogli di lacrimosi accenti il cielo empiendo”.
“Ma ben dovevo, ahimè, fin da quel giorno temer per la mia sorte, quando folle colpii di un nume le celesti membra e a Venere la destra insanguinai”.
Anche Ovidio racconta l’antica e infelice sorte di Diomede e canta i suoi compagni tramutati in uccelli per l’ira di Venere:
“Parimenti un grido e il suono della voce si spegne. Le chiome scompaiono tra le piume. Il collo, il petto, il dorso sono coperti di piume; le braccia ricevono le penne più grandi e i gomiti scompaiono tra le ali leggere.
Gran parte occupa il piede palmato.
Le bocche irrigidiscono nella durezza cornea e si allungano in punta.
Ecco Mico, ecco Ida Nitteo con Re Tenoro, ecco Ava che l’osserva e mentre guardano assumono lo stesso aspetto. Il maggior numero della schiera vola e a colpi d’ala volteggia attorno ai remi dei naviganti”.
GLI UCCELLI DI DIOMEDE
Dal primo libro di Perìzoon (170 - 231 d.C.)
C’è una certa isola chiamata Diomedea ed essa è la dimora di molte Berte (uccelli marini dal becco sottile e ricurvo, dalle lunghe ali simili ai gabbiani, ancora oggi chiamate diomedee) si dice che queste non facciano del male agli stranieri, nè si avvicinino ad essi.
Se comunque uno straniero greco fa scalo nel porto è avvicinato da questi uccelli che, per una qualche legge divina, ad ali spiegate come fossero mani per dargli il benvenuto ed abbracciarlo.
E se i greci gli accarezzano, essi non volano via ma sostano e si fanno toccare; e se gli uomini si siedono questi uccelli si posano sul loro grembo come se fossero stati invitati ad un pasto.
Si dice che siano i compagni di Diomede che presero parte con lui alla guerra di Troia, sebbene la loro forma originaria fosse in seguito mutata in quella di uccelli, essi tuttavia conservano ancora la loro natura di greci e il loro amore per la Grecia.
TOPPA DEL CAINO
Sulla banchina dell'Isola di San Domino vi è un monticello denominato " Toppa del Caino", così chiamata secondo la leggenda perché, per futili motivi, vennero a diverbio due fratelli e nel furore della rissa, uno di essi uccise l'altro, facendolo precipitare in mare.
A ricordo di questo triste episodio, il monticello prese appunto tale nome ed una croce lignea stava a segnalare il fraticidio.
IL TESORO DEL DIAMANTE
Nell’estremità settentrionale dell’isola di San Domino troviamo “Punta del Diamante” , presso la quale, secondo una leggenda, sarebbe stato sepolto un favoloso tesoro contenente un diamante di inestimabile valore
LA LEGGENDA DELL’EREMITA
Una leggenda narra di un’eremita che, ritiratosi in preghiera e meditazione sull’isola di San Nicola, dopo diverse apparizioni della Madonna, trovò un tesoro e con quello fece costruire su i resti di una villa romana un piccolo santuario in onore della Vergine, che in breve divenne meta di pellegrinaggi.
All’inizio del secolo XI il Papa affidò ai Benedettini di Montecassino la cura del Santuario che l’Abate Alberigo fece ricostruire nel 1045
L’ESILIO DI GIULIA
Fino all’anno 1000 si conosce poco della storia di queste isole, se non che l’Imperatore Augusto vi fece relegare la nipote Giulia per i costumi di vita ritenuti troppo scandalosi.
Giulia andò sposa a 14 anni al cugino M.Claudio Marcello, che Augusto designava alla successione. Rimasta vedova una prima volta nel 23 a.C. sposò in seconde nozze l’anziano Vipsiano Agrippa, dal quale ebbe i seguenti figli: Caio e Lucio Cesare, entrambi adottati da Augusto ma morti in giovanissima età; Giulia Agrippina e Agrippa Postuma nata dopo la morte del padre. Morto Agrippa padre fu’ imposta come moglie Giulia a Tiberio, obbligandolo a ripudiare la moglie Vipsania.
Augusto in seguito alla condotta scandalosa della figlia Giulia la rilegò nell’isola di Ventotene. La figlia di Giulia, anch’essa di nome Giulia fu’rilegata nell’isola di Tremiti per gli stessi motivi scandalosi della madre, ove vi morì dopo vent’anni di relegazione nel tentativo di scappare insieme al suo carceriere.
La tomba scavata nella roccia, è nei pressi dell’ipogeo greco, nelle vicinanze della tomba di Diomede Re dell’Etolia a nord della vasca benedettina.
A CACCIA Dl TESORI
Sappi che la storia tramanda veri ritrovamenti di tesori, sotto la guida di semplici letture romanzesche.
Giunse una volta a Tremiti un vascello con a bordo una principessa morta durante il viaggio e si dice venisse seppellita con tutti i diamanti che indossava a cavalco della roccia della Punta nord-est di San Domino, pertanto detta Punta del Diamante e del quale fatto esiste una vestigia evidente: tale ritenuto un grave sopramasso a contorno precisamente delineato, visibile dal mare.
Qualcuno pure non dubitando dell'arrivo del vascello a Tremiti, ritiene che il luogo di seppellimento della principessa debbasi localizzare unicamente alla Punta della Stracciona di Caprara, il che però è messo in dubbio dalla denominazione stessa di Stracciona che non si addicerebbe per una principessa che indossa diamanti.
Tale avello, se pur vero, rimane ancora inesplorato, ma non difficile da esplorarsi essendo esattamente localizzato.
Re Giocacchino Murat, con la caduta di Napoleone, suo cognato, che determinò il ritorno a Napoli dei borbonici, fu costretto a rifugiarsi a Rodi Garganico, presso la villa del fedele Veneziani e si dice avesse fatto un salto a Tremiti per nascondere Il tesoro personale.
Non si è avuto poi alcuna notizia della sorte di questo tesoro.
Un confinato, nel tempo dell'espiazione della pena del confino fascista, trovò casualmente un grosso diamante in un grottone di San Nicola: nel medesimo esiste tuttora un cunicolo artificiale, molto ripido, strettissimo in cui l'eco del lancio di una pietra è risentita a distanza dì tempo e non risulta essere stato esplorato dai presenti per frana esistente nel basso.
Raccontasi pure che altro confinato ritrovasse uno scrigno di monete appena sollevato un pezzo di scalinata sottostante l'arco del Torrione del Cavaliere, oggi marina militare e che una volta libero, per paura di perquisizione, avesse trasportato in terraferma le monete in più volte, lasciando le rimanenti dove le aveva trovate fiducioso nella segretezza del giaciglio.
Il tesoro della tomba di Diomede, se non leggenda, fu ritrovato dall'eremita per indicazione della Madonna, col cui denaro procurò le prime fondamenta, ordinate a Costantinopoli, della mirabile Chiesa di Santa Maria a Mare.
Ma la tomba dl Giulia, nipote dì Augusto Imperatore romano, di cui è certo il confino e la morte a Tremiti e di cui si sa (ne riferisce Tacito negli Annali) che le spoglie non furono ammesse nel Mausoleo di Augusto, tomba comune della famiglia imperiale, non si conosce se effettivamente fu esplorata e scoperta degli oggetti di oro e preziosi che usavano indossare le caste nobili, pure nella miseria.
Circa il 1875 giunse a Tremiti un vascello francese portando con sè una mappa.
Subito questi assoldarono tremitesi per un certo scasso dl terreno ubicato presso la Vasca di S. Nicola, ai di là della tagliata. Dopo vari giorni, d'improvviso si vide Il vascello partire sul tramonto e quegli stessi tremitesi che avevano scavato, ritornatovi si accorsero con sorpresa che la buca era più profonda e appariva evidente, per il concorso di altri segni, il ritrovamento di quanto fossero venuto a cercare e cioè che avessero effettivamente trovato il tesoro indicato dalla mappa.
I pirati, accondiscenti i monaci, avevano creato una caverna con inizio, sulla sinistra, a breve avanzamento nella Grotta del Bue Marino, e che giungeva verso la sommità della Punta dell'Eremita.
Senz'altro essi si servivano del covo per scappare da inseguitori, i quali però se osavano inseguirli entro detto covo, con grave sorpresa vi trovavano la morte per il congegno predisposto dai pirati.
In detto covo, ben ampio da dove si accede dal mare, è bene immaginare, se pur sola fantasia, possano essere stati nascosti preziosi da parte del pirati che avevano tanta fiducia di salvezza di loro stessi e che avrebbero pure ritenuto luogo sicuro per la salvezza dei loro averi e tesori.
In una recente esplorazione, che dovè subito arrestarsi per frana che copriva l'intero passaggio, vennero rinvenuti resti umani.
Da scoglietti vicino alla Grotta del Bue Marino, sì nota uno stretto sentiero che sale al luogo, a picco sulla grotta, dove vi è una piccola buca, che è l'entrata ad altro nascondiglio di pirati, lungo centinaia di metri.
La Chiesa di S. Maria a Mare, per l'accertata mancanza all'origine di presbiterio e evidenza di semiarchi interrotti che ne dovevano racchiudere l'interno, al suo centro doveva avere la cripta con i tesori a devozione della Madonna, dove è ricordo dovesse accedersi da sotterraneo del chiostro piccolo.
Probabilmente la cripta con ogni ornamento sacro e preziosi donativi, esista ancora.
Moltissimi relitti sottomarini, particolarmente grosse anfore, hanno sicuro fondo nella Cala della Provvidenza e Vuccolo.
Alcune anfore sono state portate via da turisti, altre, però sono le meno facili da sollevare, attendono di essere portata alla luce.
Stalattiti meravigliosi, in caverne inesplorate, è possibile scoprire alla base e intorno all'attuale serbatoio metallico di S. Domino.
Fossili con minute conchigliette, apprezzabili per bellezza, è sicuramente possibile rinvenire tra le secche rocce sopra Punta del Diamante e Campeggio Internazionale.
Attorno al 1929 gli isolani rinvennero due orecchini d’oro, singolari: costituiti da due anfore in ognuna delle quali appariva il Polittico della Chiesa di Tremiti. Detto Polittico era chiaramente visibile nell'anfora superiore, mentre nell’anforetta inferiore appariva solo con l'aiuto di lente d'ingrandimento.
Si crede che i detti orecchini appartenessero ad una principessa araba, mandata a Tremiti ad espiare la pena per la colpa d'infedeltà.
La principessa, seppure di giorno libera, di notte invece era costretta dalla guardia a dimorare in una grotta di Caprara, dove per ordine del principe consorte, veniva se-viziata alla stessa ora della notte in cui venne sorpresa con l'amante: quegli attimi di godimento dovevano tramutarsi in strazi e attimi di pena, a rimorso e pentimento della colpa d'infedeltà.
Pare che fosse questa la principessa, ormai ridotta dalla schiavitù a stracciona, a venire seppellita, come si tramanda, nella Punta sud-ovest di Caprara dove ha preso la denominazione di Punta della Stracciona e che la grotta in cui veniva costretta a dimorare la notte per essere torturata, fosse quella stessa poi occupata dalla vedova ivi rifugiatasi per evitare la corte da parte di persona non accetta.
Potrebbe essere pur sorprendente l'esplorazione del passaggio segreto che inizia alla base del Castello, lateralmente al Torrione Angioino e porta quantomeno all'estremità nord-est di S. Nicola, e, quanto asserito da alcuno, congiungerebbesi alla Caprara attraverso il canale di mare.
Detto cunicolo era il luogo più sicuro per nascondere ogni sorta di donativi di oro, diamanti, preziosi, vettovaglie nell’eventualità di un assedio, ed il prezzo della collaborazione e servizi resi dai monaci agli amici pirati.
Il Castello mostra alla base rivolta alla terraferma segni di vestigia indicativi dì passaggio segreto a sinistra e sotto l'attuale ricetrasmettitore d'onda della teleselezione.
A S. Domino esistono buche inesplorate presso i cameroni e la via che conduce al Faro.
La Cala Tonda di S. Domino, dove il mare forma un laghetto, ha una grotta, invasa dalle acque, dove è possibile scorgere due mensole di ferro conficcate artificialmente, per il quale fatto si azzarda a ritenere la grotta come un nascondiglio marino.
Molte notizie sulla sorte di altri tesori non sono state tramandate per il fatto che ai frati successe gente nuova e forestiera.

fonte http://alfredodecclesia.blogspot.it/2014/06/storia-e-leggende-del-gargano-le.html?spref=fb

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